Recensioni

Pubblichiamo le recensioni ai volumi finalisti dell’edizione 2024, redatte dal gruppo dei soci-lettori – detti Ghost Readers – che selezionano i libri per l’Appello tra quelli giunti in finale ai maggiori premi letterari italiani.

Il gruppo 2024 è composto da Simona Baronchelli, Emanuela Gardenghi, Rosella Gerbi, Massimo Maffei, Anna Maria Migliarini, Paola Zanonato.

A Milano viene ritrovato il corpo di una donna nella Darsena e da lì si dipana una storia che coinvolge molte vite.

C’è l’ombra di una setta, si parla di violenza e di rabbia. Si conosce l’abuso in ogni sua forma, vittime e carnefici si confondono e si sovrappongono. Chi è la vittima e chi è il carnefice, chi sono queste donne e questi uomini che sono disposti a tutto pur di mantenere una dimensione famigliare, un rifugio in cui si sentono protetti ma che in realtà ti si stringe addosso come un cappio?

C’è Enea, poliziotto ferito ma con la voglia di ricominciare, a cui viene affidato il caso, e c’è Achille, che Enea vuole portare fuori dal baratro in cui è caduto. Come i due eroi epici, lotteranno per uscire dall’incubo che li sta per avvolgere. Si scopre che la quotidianità può raggiungere punte inenarrabili di orrore, quando chi ti dovrebbe proteggere invece ti manipola e ti fa precipitare nel profondo dell’abisso.

L’autrice, con uno stile secco e preciso, tocca temi purtroppo drammaticamente attuali, le sette e gli abusi fisici e psicologici che spesso le contraddistinguono. Il ritmo serrato ed adrenalinico del romanzo fanno sì che sia impossibile staccarsi prima di averlo terminato, e nel contempo ci si interroga se conosciamo anche noi qualcuno caduto nelle maglie di un gruppo apparentemente innocuo ed amichevole, e si riflette su quanto sia importante trovare la forza di chiedere aiuto prima che sia troppo tardi.

[…]”poi ci saranno le persone coinvolte in prima persona nel racconto e dunque lei, le amiche e gli amici di lei, i parenti di lei semmai verranno a sapere che esiste sul mercato niente meno che un libro intero che parla di lei per tutto il tempo, e poi mia moglie, che ne dirà mia moglie a cui sto tenendo segreto il vero centro di questo lavoro, lei sa genericamente che sto provando a scrivere un memoir ma non sa che in realtà sto scrivendo l’unica roba che mi fermenta praticamente dentro da sempre,[…] è la storia di un’altra donna e di quello che di quest’altra donna ho pensato in quarant’anni[…]

Quello che gli uomini non dicono in centottantotto pagine di una “innocua ma potentissima ossessione” d’amore, tema da sempre caro alla letteratura.
Brevi capitoli intensi, e tormentati, accelerati dal battito del cuore innamorato dell’autore che, con uno stile volutamente effimero e leggermente ironico, sa catturare magistralmente l’essenza e l’inquietudine dell’amore adolescenziale, che tutti noi abbiamo assaporato e ricordiamo con nostalgia.

Un amore che gli è rimasto appiccicato addosso per quarant’anni, che egli ancora vuole ricordare, capire, sperare, attraverso la memoria e la scrittura, passando dalla passione della giovinezza alla delusione dell’età attraverso il tempo che passa. Durante la lettura di questa che potrebbe sembrare una storia semplice e apparentemente banale, gli animi più romantici si emozioneranno e tutti in un moto collettivo avranno modo di riflettere sull’ amore in tutte le sue forme e sulla sua natura transitoria.

Un racconto universale.

«Tra non molto pioverà», tagliò corto la donna.
Guardai sopra la mia testa; il cielo, pur racchiuso in una cerchia di cime storte, era terso.
«Chi lo dice?», domandai ridendo.
«Lo dicono gli alberi per come si muovono, lo confermano l’odore della terra e le bestie per come belano e per come sono corse via, verso casa. Lo dicono soprattutto quelle nuvole laggiù», indicò un punto dell’orizzonte dove delle piccole nubi sfilacciate si erano affacciate oltre una cresta.
«E come si fa a capire quando….».
«Devi guardare le foglie, che si girano all’improvviso da un’altra parte, e sentire l’aria col naso. Devi imparare a fare l’inventario delle nuvole», disse scrutando il cielo lontano, poi tornò di nuovo dentro a girare la minestra nel paiolo.

Franco Faggiani ci trasporta in un passato di storie dimenticate, nelle vallate del cuneese dove la vita agli inizi del ‘900 emerge come un mosaico di sfide e speranze. L’autore ricostruisce, attraverso ricerche rigorose, le esperienze di chi ha vissuto in quelle terre, rivelando la durezza della vita, la fame, gli antichi mestieri e il profondo rapporto con la morte, elementi che fanno da corollario alla storia avventurosa di Giacomo Cordero.

Il lettore viene guidato in un viaggio emozionante, vivendo con il protagonista il processo d’iniziazione al mestiere di caviè raccoglitore di “pels”. Questo lavoro singolare porta Giacomo a vagare per montagne e frazioni sperdute, alla ricerca di donne disposte a cedere le loro chiome (per l’appunto pels) in cambio di generi di prima necessità. Faggiani riesce a catturare l’essenza di un’epoca, raccontando non solo le avventure del protagonista, ma anche le sfide quotidiane di una comunità che lotta per la sopravvivenza.

La scrittura di Faggiani è fluida e coinvolgente, capace di trasportare il lettore in un mondo dove la montagna è ancora una volta protagonista, affascinante e al tempo stesso drammatica. Come drammatiche sono le vite dei personaggi, dalle quali emerge prepotentemente un’umanità resiliente che si aggrappa a tradizioni e ricordi, dove però già si affacciano le prime avvisaglie di un mondo in evoluzione di cui Giacomo è inconsapevolmente un antesignano.


Una storia d’amore struggente e unilaterale, incentrata su una donna che dedica la sua intera esistenza a un sentimento mai corrisposto.

Il titolo riflette perfettamente la condizione emotiva della protagonista: “tanto poco” le basta per essere felice, vivere nel riflesso di un amore impossibile e inesistente, alimentato dalla sua immaginazione e ossessione. Questa ossessione, che sfiora i confini della follia, la porta a proteggere e idealizzare un uomo che non sa nemmeno chi lei sia, che non conosce neanche il suo nome, una condizione che sottolinea la tragicità della sua vita.

Il tema del libro solleva domande universali: quanto poco ci basta per sentirci felici? Possiamo davvero sopravvivere alimentati solo dalle nostre fantasie e illusioni? E fino a che punto siamo disposti a sacrificare la nostra vita per un amore che non ci appartiene?

La bellezza del romanzo, tuttavia, non risiede solo nella trama dolorosa e delicata, ma soprattutto nella scrittura. L’autore cesella la lingua italiana, confezionando uno stile poetico che avvolge il lettore in ogni pagina. Le parole sono scelte con la massima attenzione, creando un ritmo che alterna riflessioni intime e malinconiche a momenti di pura bellezza stilistica, al punto da ipnotizzare il lettore.
Un piccolo libro che diventa grande grazie all’abilità dello scrittore.

In Tanto poco, l’eleganza del linguaggio fa da contrappunto all’aspetto doloroso della vicenda, facendo di questo libro non solo una storia d’amore non corrisposto, ma anche una riflessione sulla solitudine, il desiderio e la fragilità umana.

…la realtà e il sogno o meglio la favola, si sfiorano, si sovrappongono, per brevi momenti si toccano. La prima, la realtà, sembrerebbe generare la seconda, ma il più delle volte è quest’ultima ad anticipare gli eventi, la genesi della favola è la favola stessa.

Così dagli incontri tra l’anziano Benjamin e il bambino Italo nasce l’idea di scrivere la storia di un bimbo che, ligio agli ordini materni, non vuole attraversare i binari per raccogliere il pallone finito oltre la massicciata. Per mantenere la promessa camminerà quindi tutta la vita alla ricerca della fine della ferrovia. Il racconto non verrà mai scritto ma come in una favola narratore e protagonista si cercheranno senza incontrarsi mai.

Il bambino infatti prenderà vita e ci porterà a percorrere nello spazio e nel tempo la  Liguria, da Sanremo ai confini con la Toscana e ritorno. In questo suo percorso, venuto a sapere dell’esistenza di Calvino e dell’idea di scrivere il racconto, non smetterà mai di cercare nelle biblioteche le tracce del suo autore che diventerà così a sua volta personaggio.

La Liguria nelle parole di Marino Magliani ci appare raccontata per immagini, come acquarelli di un pittore dove le isole, dalle più piccole alla Corsica, mutano a seconda della luce, della prospettiva, ma soprattutto dall’umore di chi le dipinge.

Scorrendo le pagine del racconto sulle orme del bimbo diventato grande, assistiamo frastornati e impotenti alla trasformazione subita da questa splendida regione da prima della seconda guerra mondiale ad oggi.

Il percorso di vita del bambino diventa il nostro, il racconto ci porta delicatamente ad immedesimarci, come in un sogno o in una favola, con il protagonista, le sue emozioni ci toccano nel profondo fino al finale dolce e drammatico al tempo stesso.


Con una scrittura precisa ed asciutta il libro ci trasporta nella Maremma di fine ottocento, una terra ancora selvaggia, preda della malaria, dei briganti, a volte di gendarmi pavidi e corrotti, con strade infinitamente lunghe e tortuose dove dietro ad ogni curva si nasconde la meraviglia di un paesaggio o il terrore di un incontro.

La vita è dura e difficile, segue ritmi che da decenni si ripetono ma che hanno un fascino antico: nel mondo dei butteri ognuno ha un proprio ruolo preciso che garantisce il rispetto reciproco e la qualità del lavoro, ma rischia anche di soffocare chi ha qualche ambizione diversa e chi comincia a spostare lo sguardo oltre il proprio orizzonte, chi ha percepito il fascino di un racconto che arriva da terre lontane, il Far West.

Irrompe infatti nel racconto la figura affascinante di Buffalo  Bill, che arriva in Italia con la sua tournee mondiale di pistoleri e capi indiani, e per vie rocambolesche i due selvaggi Ovest si incontreranno. Una curiosità astigiana: sul numero 11 della rivista Astigiani un articolo racconta proprio dell’arrivo di Buffalo Bill in Italia.


Nell’ottobre del 1945 una bambina ebrea, rifugiata in un monastero per sfuggire alle persecuzioni naziste, inizia il primo anno di scuola dopo la guerra. La maestra Gilda, a sua volta, ha combattuto, ha rischiato la vita, ha l’animo segnato da cicatrici.

Due protagoniste con un passato terribile non da dimenticare, ma da ricostruire ed un futuro incerto ma pieno di speranze.
Si sosterranno a vicenda per superare gli orrori subiti, la bambina chiusa in un mutismo che sembra impossibile rompere e la maestra alla ricerca di un filo conduttore per ricostruire se stessa e aiutare le sue alunne.

Entrambe trovano la chiave per aprire quelle porte emotive drammaticamente chiuse: si tengono per mano mentre la bambina inizia a ricostruire la sua vita parlando con un gattino e la maestra tenta di aggiustare un vecchio planetario, metafora potentissima della ricostruzione del mondo distrutto dalla guerra.

La scrittura è fluida e gentile, caratterizzata da una delicatezza che riesce a rendere sopportabile la durezza dell’argomento. Lontana dall’opprimere il lettore con il peso della tragedia, riesce a trasmettere la possibilità di redenzione e rinascita.
La scuola emerge come luogo di accoglienza, condivisione e sostegno, un microcosmo in cui i valori umani fondamentali – la solidarietà, la comprensione e l’amore – emergono con forza, dimostrando che anche nei tempi più oscuri l’umanità può trovare la sua via di ricostruzione e guarigione.

Sono giovani William, Martin, Carl, la ragazza “con il mare del Nord negli occhi”: sono i protagonisti della storia che trae spunto da un episodio reale, accaduto nel 1914, durante la Grande Guerra, in Normandia: la “tregua di Natale”, piccola pace pur in tempo di guerra, quando i soldati degli opposti schieramenti smisero di spararsi e , uscendo dalle trincee, condivisero il cibo dei pacchi dono e poi trasformarono la terra di nessuno in un campo da calcio, tedeschi contro inglesi.

L’autore è riuscito a reinventare con linguaggio poetico, in atmosfera da favola, la microstoria di alcuni, sullo sfondo della macrostoria reale, delle operazioni belliche causa di morti, dolori, distruzioni. E la “morale della favola”? Se si ha coraggio, si può realizzare la pace, seppur piccola pace, anche quando soffiano venti di guerra. Questo è il messaggio che il padre vuol trasmettere al figlio, tornando nelle Fiandre, dove anche lui ha combattuto, nel 1933: anno fatale, l’anno dell’ascesa di Hitler, che segna l’inizio del dodicennio nero.

Una lezione di grande attualità anche adesso, soprattutto oggi, e non solo per i ragazzi, ma per tutti noi angosciati dai fatti del presente che richiamano tragicamente il passato.

A settembre con il titolo “LE SOLDAT QUI N’ AMAIT PAS LA GUERRE” il libro è stato pubblicato in Francia .

Recensioni

Pubblichiamo le recensioni ai volumi finalisti dell’edizione 2024, redatte dal gruppo dei soci-lettori – detti Ghost Readers – che selezionano i libri per l’Appello tra quelli giunti in finale ai maggiori premi letterari italiani.

Il gruppo 2024 è composto da Simona Baronchelli, Emanuela Gardenghi, Rosella Gerbi, Massimo Maffei, Anna Maria Migliarini, Paola Zanonato.

A Milano viene ritrovato il corpo di una donna nella Darsena e da lì si dipana una storia che coinvolge molte vite.

C’è l’ombra di una setta, si parla di violenza e di rabbia. Si conosce l’abuso in ogni sua forma, vittime e carnefici si confondono e si sovrappongono. Chi è la vittima e chi è il carnefice, chi sono queste donne e questi uomini che sono disposti a tutto pur di mantenere una dimensione famigliare, un rifugio in cui si sentono protetti ma che in realtà ti si stringe addosso come un cappio?

C’è Enea, poliziotto ferito ma con la voglia di ricominciare, a cui viene affidato il caso, e c’è Achille, che Enea vuole portare fuori dal baratro in cui è caduto. Come i due eroi epici, lotteranno per uscire dall’incubo che li sta per avvolgere. Si scopre che la quotidianità può raggiungere punte inenarrabili di orrore, quando chi ti dovrebbe proteggere invece ti manipola e ti fa precipitare nel profondo dell’abisso.

L’autrice, con uno stile secco e preciso, tocca temi purtroppo drammaticamente attuali, le sette e gli abusi fisici e psicologici che spesso le contraddistinguono. Il ritmo serrato ed adrenalinico del romanzo fanno sì che sia impossibile staccarsi prima di averlo terminato, e nel contempo ci si interroga se conosciamo anche noi qualcuno caduto nelle maglie di un gruppo apparentemente innocuo ed amichevole, e si riflette su quanto sia importante trovare la forza di chiedere aiuto prima che sia troppo tardi.

[…]”poi ci saranno le persone coinvolte in prima persona nel racconto e dunque lei, le amiche e gli amici di lei, i parenti di lei semmai verranno a sapere che esiste sul mercato niente meno che un libro intero che parla di lei per tutto il tempo, e poi mia moglie, che ne dirà mia moglie a cui sto tenendo segreto il vero centro di questo lavoro, lei sa genericamente che sto provando a scrivere un memoir ma non sa che in realtà sto scrivendo l’unica roba che mi fermenta praticamente dentro da sempre,[…] è la storia di un’altra donna e di quello che di quest’altra donna ho pensato in quarant’anni[…]

Quello che gli uomini non dicono in centottantotto pagine di una “innocua ma potentissima ossessione” d’amore, tema da sempre caro alla letteratura.
Brevi capitoli intensi, e tormentati, accelerati dal battito del cuore innamorato dell’autore che, con uno stile volutamente effimero e leggermente ironico, sa catturare magistralmente l’essenza e l’inquietudine dell’amore adolescenziale, che tutti noi abbiamo assaporato e ricordiamo con nostalgia.

Un amore che gli è rimasto appiccicato addosso per quarant’anni, che egli ancora vuole ricordare, capire, sperare, attraverso la memoria e la scrittura, passando dalla passione della giovinezza alla delusione dell’età attraverso il tempo che passa. Durante la lettura di questa che potrebbe sembrare una storia semplice e apparentemente banale, gli animi più romantici si emozioneranno e tutti in un moto collettivo avranno modo di riflettere sull’ amore in tutte le sue forme e sulla sua natura transitoria.

Un racconto universale.

«Tra non molto pioverà», tagliò corto la donna.
Guardai sopra la mia testa; il cielo, pur racchiuso in una cerchia di cime storte, era terso.
«Chi lo dice?», domandai ridendo.
«Lo dicono gli alberi per come si muovono, lo confermano l’odore della terra e le bestie per come belano e per come sono corse via, verso casa. Lo dicono soprattutto quelle nuvole laggiù», indicò un punto dell’orizzonte dove delle piccole nubi sfilacciate si erano affacciate oltre una cresta.
«E come si fa a capire quando….».
«Devi guardare le foglie, che si girano all’improvviso da un’altra parte, e sentire l’aria col naso. Devi imparare a fare l’inventario delle nuvole», disse scrutando il cielo lontano, poi tornò di nuovo dentro a girare la minestra nel paiolo.

Franco Faggiani ci trasporta in un passato di storie dimenticate, nelle vallate del cuneese dove la vita agli inizi del ‘900 emerge come un mosaico di sfide e speranze. L’autore ricostruisce, attraverso ricerche rigorose, le esperienze di chi ha vissuto in quelle terre, rivelando la durezza della vita, la fame, gli antichi mestieri e il profondo rapporto con la morte, elementi che fanno da corollario alla storia avventurosa di Giacomo Cordero.

Il lettore viene guidato in un viaggio emozionante, vivendo con il protagonista il processo d’iniziazione al mestiere di caviè raccoglitore di “pels”. Questo lavoro singolare porta Giacomo a vagare per montagne e frazioni sperdute, alla ricerca di donne disposte a cedere le loro chiome (per l’appunto pels) in cambio di generi di prima necessità. Faggiani riesce a catturare l’essenza di un’epoca, raccontando non solo le avventure del protagonista, ma anche le sfide quotidiane di una comunità che lotta per la sopravvivenza.

La scrittura di Faggiani è fluida e coinvolgente, capace di trasportare il lettore in un mondo dove la montagna è ancora una volta protagonista, affascinante e al tempo stesso drammatica. Come drammatiche sono le vite dei personaggi, dalle quali emerge prepotentemente un’umanità resiliente che si aggrappa a tradizioni e ricordi, dove però già si affacciano le prime avvisaglie di un mondo in evoluzione di cui Giacomo è inconsapevolmente un antesignano.


Una storia d’amore struggente e unilaterale, incentrata su una donna che dedica la sua intera esistenza a un sentimento mai corrisposto.

Il titolo riflette perfettamente la condizione emotiva della protagonista: “tanto poco” le basta per essere felice, vivere nel riflesso di un amore impossibile e inesistente, alimentato dalla sua immaginazione e ossessione. Questa ossessione, che sfiora i confini della follia, la porta a proteggere e idealizzare un uomo che non sa nemmeno chi lei sia, che non conosce neanche il suo nome, una condizione che sottolinea la tragicità della sua vita.

Il tema del libro solleva domande universali: quanto poco ci basta per sentirci felici? Possiamo davvero sopravvivere alimentati solo dalle nostre fantasie e illusioni? E fino a che punto siamo disposti a sacrificare la nostra vita per un amore che non ci appartiene?

La bellezza del romanzo, tuttavia, non risiede solo nella trama dolorosa e delicata, ma soprattutto nella scrittura. L’autore cesella la lingua italiana, confezionando uno stile poetico che avvolge il lettore in ogni pagina. Le parole sono scelte con la massima attenzione, creando un ritmo che alterna riflessioni intime e malinconiche a momenti di pura bellezza stilistica, al punto da ipnotizzare il lettore.
Un piccolo libro che diventa grande grazie all’abilità dello scrittore.

In Tanto poco, l’eleganza del linguaggio fa da contrappunto all’aspetto doloroso della vicenda, facendo di questo libro non solo una storia d’amore non corrisposto, ma anche una riflessione sulla solitudine, il desiderio e la fragilità umana.

…la realtà e il sogno o meglio la favola, si sfiorano, si sovrappongono, per brevi momenti si toccano. La prima, la realtà, sembrerebbe generare la seconda, ma il più delle volte è quest’ultima ad anticipare gli eventi, la genesi della favola è la favola stessa.

Così dagli incontri tra l’anziano Benjamin e il bambino Italo nasce l’idea di scrivere la storia di un bimbo che, ligio agli ordini materni, non vuole attraversare i binari per raccogliere il pallone finito oltre la massicciata. Per mantenere la promessa camminerà quindi tutta la vita alla ricerca della fine della ferrovia. Il racconto non verrà mai scritto ma come in una favola narratore e protagonista si cercheranno senza incontrarsi mai.

Il bambino infatti prenderà vita e ci porterà a percorrere nello spazio e nel tempo la  Liguria, da Sanremo ai confini con la Toscana e ritorno. In questo suo percorso, venuto a sapere dell’esistenza di Calvino e dell’idea di scrivere il racconto, non smetterà mai di cercare nelle biblioteche le tracce del suo autore che diventerà così a sua volta personaggio.

La Liguria nelle parole di Marino Magliani ci appare raccontata per immagini, come acquarelli di un pittore dove le isole, dalle più piccole alla Corsica, mutano a seconda della luce, della prospettiva, ma soprattutto dall’umore di chi le dipinge.

Scorrendo le pagine del racconto sulle orme del bimbo diventato grande, assistiamo frastornati e impotenti alla trasformazione subita da questa splendida regione da prima della seconda guerra mondiale ad oggi.

Il percorso di vita del bambino diventa il nostro, il racconto ci porta delicatamente ad immedesimarci, come in un sogno o in una favola, con il protagonista, le sue emozioni ci toccano nel profondo fino al finale dolce e drammatico al tempo stesso.


Con una scrittura precisa ed asciutta il libro ci trasporta nella Maremma di fine ottocento, una terra ancora selvaggia, preda della malaria, dei briganti, a volte di gendarmi pavidi e corrotti, con strade infinitamente lunghe e tortuose dove dietro ad ogni curva si nasconde la meraviglia di un paesaggio o il terrore di un incontro.

La vita è dura e difficile, segue ritmi che da decenni si ripetono ma che hanno un fascino antico: nel mondo dei butteri ognuno ha un proprio ruolo preciso che garantisce il rispetto reciproco e la qualità del lavoro, ma rischia anche di soffocare chi ha qualche ambizione diversa e chi comincia a spostare lo sguardo oltre il proprio orizzonte, chi ha percepito il fascino di un racconto che arriva da terre lontane, il Far West.

Irrompe infatti nel racconto la figura affascinante di Buffalo  Bill, che arriva in Italia con la sua tournee mondiale di pistoleri e capi indiani, e per vie rocambolesche i due selvaggi Ovest si incontreranno. Una curiosità astigiana: sul numero 11 della rivista Astigiani un articolo racconta proprio dell’arrivo di Buffalo Bill in Italia.


Nell’ottobre del 1945 una bambina ebrea, rifugiata in un monastero per sfuggire alle persecuzioni naziste, inizia il primo anno di scuola dopo la guerra. La maestra Gilda, a sua volta, ha combattuto, ha rischiato la vita, ha l’animo segnato da cicatrici.

Due protagoniste con un passato terribile non da dimenticare, ma da ricostruire ed un futuro incerto ma pieno di speranze.
Si sosterranno a vicenda per superare gli orrori subiti, la bambina chiusa in un mutismo che sembra impossibile rompere e la maestra alla ricerca di un filo conduttore per ricostruire se stessa e aiutare le sue alunne.

Entrambe trovano la chiave per aprire quelle porte emotive drammaticamente chiuse: si tengono per mano mentre la bambina inizia a ricostruire la sua vita parlando con un gattino e la maestra tenta di aggiustare un vecchio planetario, metafora potentissima della ricostruzione del mondo distrutto dalla guerra.

La scrittura è fluida e gentile, caratterizzata da una delicatezza che riesce a rendere sopportabile la durezza dell’argomento. Lontana dall’opprimere il lettore con il peso della tragedia, riesce a trasmettere la possibilità di redenzione e rinascita.
La scuola emerge come luogo di accoglienza, condivisione e sostegno, un microcosmo in cui i valori umani fondamentali – la solidarietà, la comprensione e l’amore – emergono con forza, dimostrando che anche nei tempi più oscuri l’umanità può trovare la sua via di ricostruzione e guarigione.

Sono giovani William, Martin, Carl, la ragazza “con il mare del Nord negli occhi”: sono i protagonisti della storia che trae spunto da un episodio reale, accaduto nel 1914, durante la Grande Guerra, in Normandia: la “tregua di Natale”, piccola pace pur in tempo di guerra, quando i soldati degli opposti schieramenti smisero di spararsi e , uscendo dalle trincee, condivisero il cibo dei pacchi dono e poi trasformarono la terra di nessuno in un campo da calcio, tedeschi contro inglesi.

L’autore è riuscito a reinventare con linguaggio poetico, in atmosfera da favola, la microstoria di alcuni, sullo sfondo della macrostoria reale, delle operazioni belliche causa di morti, dolori, distruzioni. E la “morale della favola”? Se si ha coraggio, si può realizzare la pace, seppur piccola pace, anche quando soffiano venti di guerra. Questo è il messaggio che il padre vuol trasmettere al figlio, tornando nelle Fiandre, dove anche lui ha combattuto, nel 1933: anno fatale, l’anno dell’ascesa di Hitler, che segna l’inizio del dodicennio nero.

Una lezione di grande attualità anche adesso, soprattutto oggi, e non solo per i ragazzi, ma per tutti noi angosciati dai fatti del presente che richiamano tragicamente il passato.

A settembre con il titolo “LE SOLDAT QUI N’ AMAIT PAS LA GUERRE” il libro è stato pubblicato in Francia .

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