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Le recensioni di Massimo Cotto: ANTONIO PASCALE
ANTONIO PASCALE, La foglia di fico, Einaudi editore
Alberi, donne, uomini. In quest’ordine di apparizione. Il sottotitolo dice molto, se non tutto. Le piante come collegamento tra terra e cielo, acqua e ossigeno per noi, ma anche simboli di noi, perché ci aiutano a sentire meglio la vita, a far attecchire la felicità che assume forme diverse: attraversare una pineta a piedi nudi nonostante gli aghi oppure sentire il profumo del pane prima di morire e vedere il cielo prima di arrivarci.
Antonio Pascale confeziona dieci storie dove dieci piante crescono donne e uomini. L’unico personaggio vero è lui, gli altri sono inventati non soltanto per strategia narrativa, anche per ribadire che i personaggi sono tutti noi, ci rappresentano nella nostra interezza, non sono solo singoli individui. C’è, volutamente, in ogni capitolo, caos e bellezza. Intanto perché è dal caos e dalla bellezza che ha avuto origine il mondo e poi perché la vita è disordine, incertezze, confusioni. Il protagonista per quarant’anni ha mangiato le amarene convinto che fossero ciliegie. È questo un romanzo atipico, dove ci sono passaggi bellissimi che uniscono la trama a quella di altri racconti, come Davanti alla legge di Kafka o L’immortale di Borges; dove il mondo a tratti si capovolge e a salvare la vita al protagonista sono Ian Curtis dei Joy Division, uno che la vita se l’è tolta, e Arthur Rimbaud, uno che la vita l’ha buttata, tra l’Egitto e la follia. Il capolavoro, Antonio Pascale lo raggiunge però a pagina 19 quando riesce incredibilmente a collegare Guccini ai Pooh ai Cure e ci vuole davvero un gran coraggio, bisogna essere querce per poterlo azzardare.
Ci sono delusioni amorose, struggimenti e desideri, lettere al padre, suoni e visioni, spine e terra e famiglia e Caserta sullo sfondo, anzi no: in primo piano. Ci sono scambi di carreggiata, perché il desiderio non segue mai una linea retta e a volte finisci schiacciato prima ancora di capire la direzione, prima ancora di mettere in moto. Alla fine, ne esci contento. Perché c’è sempre un forno aperto nel cuore della notte che ti fa dimenticare il finale del Giardino dei ciliegi: “Si sono scordati di me. La vita è passata e io è come non l’avessi mai vissuta”. Per fortuna ci sono le piante a insegnarci a viverla.
Massimo Cotto
foto Franco Rabino
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