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Ernest Hemingway, che piove su questo libro con rimbalzi regolari, diceva che scrivere è la cosa più facile del mondo, basta sedersi alla macchina da scrivere e cominciare a sanguinare. Hemingway si riferiva alla necessità di essere veri, genuini, di raccontare solo ciò che era essenziale alla vita e alla scrittura, ma in qualche modo possiamo dire che tutti i personaggi de Il vecchio lottatore sanguinano da qualche parte, più o meno copiosamente.
Si assomigliano tutti, nelle loro inconciliabili diversità. Sembrano sempre sul punto di dire qualcosa, ma raramente la dicono. Parlano poco, il necessario per trattenere le forze. Non sono sicuri di distinguere una minaccia da una fantasia. Sono quelli su cui il tempo ha disegnato una mezzaluna che sembra un sorriso e invece è una lama affilata su cui è pericoloso camminare. Sono quelli che tornano da un viaggio e raccontano quello che hanno mangiato prima ancora delle avventure che hanno vissuto. Sono lottatori più per volontà che per talento, come il micidiale Aurelio Silva, che chiude e racchiude il senso dei racconti.
Non sono, in senso stretto, i beautiful losers alla Leonard Cohen tanto cari alla mitologia dei perdenti. Non hanno conosciuto sconfitte e lacerazioni, traumi o precipizi. Semplicemente, non hanno mai avuto gioie piene perché a volte tra un’imprevedibile vittoria e un’inattesa sconfitta passava nemmeno mezz’ora. Diciamo che sono tutti in cerca di un assestamento, una correzione di rotta che li tenga lontani dall’abbandono, qualcosa che unisca le antiche ambizioni della giovinezza alla consapevolezza del tempo che fugge. Ecco, questi vecchi lottatori non vogliono rivoluzioni o trionfi, solo correggere il tiro e fa sorridere pensare che nascano dalla penna di uno che prima che scrittore, è editor abituato a correggere il tiro e i testi degli altri.
Alla fine, non ci sono risposte, perché la vita è come la letteratura: ti regala un sacco di domande e poche certezze. Non sapremo mai che perché il leopardo delle Nevi del Kilimangiaro si sia avventurato a quasi 6.000 metri di altitudine, non sapremo mai cosa aspettarci dalla vita di questi lottatori se non un nuovo combattimento.
(Massimo Cotto)
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