A grande richiesta, le recensioni dei libri dei finalisti dell'edizione appena conclusa del nostro Premio, curate da Massimo Cotto e corredate dalle dediche "virtuali" degli autori.
Paolo Maurensig, Il gioco degli dèi (Einaudi editore)
E hai voglia di dire che tutto è metafora, che quello che accade tra le mosse è uguale a quello che succede nella vita, con i pezzi che diminuiscono e gli altri che avanzano. Sicuro, è così, la letteratura visita spesso una scacchiera dove il grigio non esiste, ma solo il bianco e il nero e nessuna sfumatura, ma poi dipende dalla storia e quella che abita questo romanzo è una delle più belle.
C’è un ragazzo indiano che è poco più di un bambino, è il carnac del suo villaggio, fa il guardiano degli elefanti. Una notte gli appare in sogno una tigre, ed è un sogno così reale che non sembra un sogno, e infatti non lo è, si trasforma in incubo perché la tigre esiste davvero, minaccia la sua gente, divora la tranquillità e i suoi due genitori.
Lui si chiama Malik Mir Sultan Khan e ha un dono assoluto: è un mago del chaturanga, antenato indiano degli scacchi. Diventerà il più grande di tutti, sconfiggerà chiunque, ma ogni dono porta con sé una dannazione e la sua è di bruciare presto la sua parabola. Quattro anni e poi l’oblio, interrotto solo da una brutta storia e dall’accusa infamante di aver plagiato un’anziana miliardaria americana.
Malik Mir Sultan Khan è esistito davvero e Maurensig ricostruisce la sua vita non aderendo completamente al reale, ma esponendola in maniera romanzesca, come si fa a volte con le musiche della tradizione, che non riproponi con approccio filologico, ma che reinventi continuamente per dare più respiro, più ossigeno, più vita.
C’è altro, oltre alla storia ricostruita. C’è la genialità, il razzismo, il pregiudizio, il rapporto tra Oriente e Occidente, la povertà, la fortuna che si scioglie presto come il ghiaccio. C’è l’avventura incredibile di un servo che diventa re. Ma per poco tempo. E non ci si può ribellare come dice lo stesso Malik Mir Sultan Khan, ribellarsi al proprio karma equivale a prolungarne gli effetti negativi. Si vive, questo basta. Si vive come vuole il destino, perché alla fine è sempre lui che decide quando darti scacco matto.
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